Pierluigi Bersani e il governo: urge ricognizione a novanta gradi

Una cosa è certa. Comunque vada. Comunque vada Pierluigi Bersani si farà molto male, entrando, di diritto e a pieno titolo, nel Club delle mezze Figure. Oddio. Forse anche quelle di merda.

Il tentativo da lui tenacemente perseguito di ottenere  l'investitura da parte del Presidente Giorgio Napolitano per provare a fare un governo a sua guida lo porterà in un cul de sac da cui difficilmente uscirà vivo. Politicamente parlando.

Nonostante la parità con Silvio Berlusconi fa finta di aver vinto le elezioni e ha preteso che il tocco iniziale fosse il suo. Dimenticando che il pallottoliere conta.

Rifiutando in modo goffo e ridicolo l'unica strada percorribile in questo momento: un governo di unità nazionale che non veda nè lui, Berlusconi al governo, ma uomini di area PD e Pdl a gestire le tre, quattro riforme necessarie per poi andare al voto.

Un voto che non preveda rimborsi elettorali per i parlamentari, dimezzi le indennità e il numero dei parlamentari e dia soprattutto la possibilità agli elettori di scegliere i propri rappresentanti.

Ma Bersani è esplicitamente contrario a tutto questo. Invece di pensare al popolo italiano schiacciato da balzelli, tasse, imposte e via aumentando, il designato di Bettola si preoccupa degli immigrati.

Retaggio veterocomunista.

Pur sfruttando i mal di pancia di qualche grillino si avrà una solo risultato: si ricorderranno i tempi leggendari di Romano Prodi, uomo di poche parole e pochissimi fatti, e del suo governo, impegnato a consultare gli orari delle linee aeree e i bollettini del meteo per assicurare a qualche senatore lo sbarco a Fiumicino. In tempo.

L'armata del Pd, nell'illusione di portarsi a casa un lauto bottino, darà la possibilità a Beppe Grillo di stravincere alle prossime elezioni.

Urge una ricognizione a novanta gradi.

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